Se l’Intelligenza artificiale diventa un rischio: il caso del bromuro di sodio e le sfide per la nostra salute

Senza una vera “educazione al digitale” le risposte immediate offerte dai chatbot possono diventare pericole trappole e l’illusione di un sapere facile e veloce tradursi in un problema serio individuale e collettivo.
Nell’era digitale, la tecnologia ha ormai trasformato profondamente la vita quotidiana, cambiando radicalmente il modo in cui accediamo alle informazioni e prendiamo decisioni. Strumenti come ChatGPT, capaci di fornire risposte rapide e apparentemente affidabili, rappresentano un punto di riferimento soprattutto per i più giovani. Tuttavia, se da un lato queste innovazioni aprono nuove possibilità di apprendimento e interazione, dall’altro evidenziano rischi significativi, soprattutto quando vengono impiegate in ambiti delicati come la salute e l’alimentazione.
Su questo tema si concentra un articolo del giornalista Alessandro Vinci, pubblicato sul Corriere della Sera, che racconta un episodio emblematico del rapporto tra utente e sistemi automatizzati. Vinci descrive il caso di un uomo di circa sessant’anni che, dopo essersi informato autonomamente sui rischi legati al consumo di sale da cucina, ha chiesto a ChatGPT come sostituirlo. La risposta, apparentemente innocua, lo ha portato a una grave intossicazione con conseguenze psicologiche serie.
Secondo quanto riportato da Vinci, “un uomo di cui non sono state rese note le generalità” ha iniziato a utilizzare il bromuro di sodio come sostituto del sale, seguendo il consiglio dell’IA. Quest’ultima aveva indicato il bromuro come alternativa, senza specificare che si tratta di una sostanza tossica, impiegata prevalentemente “per altri scopi, come la pulizia”, e assolutamente inadatta al consumo umano.
Ignaro dei pericoli, l’uomo ha acquistato il bromuro sul web e lo ha inserito nella sua dieta quotidiana. Dopo circa tre mesi ha cominciato a manifestare sintomi allarmanti: “paranoie, allucinazioni, disturbi della memoria, confusione mentale”, fino a una crisi psicotica acuta. Convinto che un vicino volesse avvelenarlo, si è rivolto all’ospedale, dove gli è stata diagnosticata una rara intossicazione da bromuro di sodio, una patologia quasi dimenticata, come evidenziato in un report pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine: Clinical Cases.
Il paziente ha dovuto affrontare un ricovero di tre settimane, durante il quale ha ricevuto cure antipsicotiche fino al completo recupero. L’articolo di Vinci sottolinea come questo episodio “sia un chiaro esempio di come le tecnologie digitali possano contribuire allo sviluppo di conseguenze negative per la salute evitabili con un uso consapevole”.
Questa vicenda è rilevante non solo per l’aspetto medico, ma anche per le implicazioni sociali e comunicative che solleva. In un’epoca in cui molte persone adottano un approccio fai-da-te digitale, affidandosi ciecamente a risposte generate da chatbot e algoritmi, è fondamentale riflettere sull’utilizzo di queste tecnologie e sulle loro limitazioni.
L’episodio rappresenta un monito importante riguardo alla complessità del rapporto tra tecnologia e società contemporanea. Nonostante i progressi, l’intelligenza artificiale resta uno strumento basato sull’elaborazione di dati e modelli, e non può sostituire la competenza umana né il pensiero critico.
La crescente dipendenza da queste piattaforme segnala un’evoluzione profonda nelle modalità di accesso all’informazione: l’immediatezza e la facilità di ottenere risposte rischiano di sostituire la verifica delle fonti e la consulenza di esperti, con rischi potenzialmente pericolosi in ambiti come la salute.
Dal punto di vista sociologico, emerge una dinamica interessante legata alla “cultura dell’autonomia digitale”. Il protagonista della vicenda ha scelto di bypassare i canali tradizionali – medici, nutrizionisti, specialisti – preferendo il consiglio virtuale e automatizzato dell’IA. Tale atteggiamento riflette una crescente diffidenza verso istituzioni e professionalità, ma anche un desiderio di controllo e indipendenza che, senza un adeguato bagaglio di conoscenze, può rivelarsi controproducente.
Inoltre, cambia il ruolo del consumatore di informazione, che diventa al contempo attore attivo e soggetto vulnerabile, esposto alle insidie della disinformazione e alla cattiva interpretazione dei dati.
Il caso raccontato da Alessandro Vinci sul Corriere della Sera rappresenta un campanello d’allarme per tutti. L’intelligenza artificiale è uno strumento straordinario che può migliorare la qualità della vita, ma deve essere utilizzato con responsabilità e consapevolezza. L’assenza di un filtro umano adeguato e di un’alfabetizzazione critica può trasformare la tecnologia da risorsa a potenziale fonte di danni, specialmente in ambiti delicati come quello sanitario.
Per questo motivo, è fondamentale promuovere un’educazione digitale che superi l’uso meramente tecnico degli strumenti, incentivando una valutazione approfondita delle loro potenzialità e dei limiti. Solo così si potrà evitare che le risposte immediate offerte dai chatbot diventino trappole pericolose e che l’illusione di un sapere facile e veloce non si traduca in un problema serio per il benessere individuale e collettivo.