Allarme iperconnessione: sino a cinque ore al giorno sui cellulari per i giovani è alienazione

L’utilizzo massivo e distorto dei social porta ad una percezione distorta della realtà e ad una debole capacità di distinguere il vero dal falso.
Il digitale ha trasformato radicalmente le abitudini quotidiane, specialmente tra i più giovani. Per i ragazzi tra gli 11 e i 18 anni, lo smartphone non è soltanto un mezzo di comunicazione, ma rappresenta un’estensione della propria identità. La connessione costante, i social network, l’intelligenza artificiale sono strumenti con cui convivono ogni giorno, spesso però senza gli strumenti critici per comprenderne i pericoli e le potenzialità.
Mi ha davvero colpito la notizia riportata dall’Agenzia DIRE (www.dire.it), che presenta i dati dell’indagine realizzata dal MOIGE e dall’Istituto Piepoli, coinvolgendo oltre 1.500 studenti italiani. Quello che emerge è un quadro complesso, ricco di spunti ma anche segnali di allarme per famiglie, educatori e istituzioni.
Secondo l’articolo, “più della metà dei ragazzi (55%) trascorre almeno tre ore al giorno online al di fuori della scuola, e il 14% supera le cinque ore quotidiane”. L’uso dei dispositivi digitali è ormai strutturale: “lo smartphone domina come principale strumento di connessione (93%)”.
Tra i dati più preoccupanti spicca quello relativo all’uso dell’intelligenza artificiale: “il 51% la utilizza regolarmente, con un picco del 71% tra gli studenti delle superiori”, e ancora, “il 29% la usa sempre o spesso per fare i compiti”. Tuttavia, “solo il 21% ha ricevuto formazione adeguata sui rischi e le opportunità dell’IA”. È un dato che denuncia una frattura tra l’adozione diffusa delle tecnologie e la preparazione culturale per affrontarle.
Un altro aspetto delicato riguarda le interazioni con gli sconosciuti online: “il 30% accetta richieste di amicizia da persone mai conosciute, e il 23% ha incontrato di persona qualcuno conosciuto solo online”. La dimensione delle relazioni digitali è dunque sempre più reale e tangibile, ma anche piena di insidie.
Il fenomeno del cyberbullismo è altrettanto allarmante: “il 7% dichiara di essere stato vittima, e il 16% di aver assistito a episodi come testimone”. Eppure, “solo il 12% interviene a difesa della vittima e il 5% segnala l’accaduto a un adulto”, segno che manca ancora un’educazione all’empatia e alla responsabilità digitale.
Le mie ricerche e le analisi condotte in contesti scolastici confermano quanto emerso dall’indagine, mettendo in luce dinamiche molto simili. L’utilizzo massiccio dei social e degli strumenti di intelligenza artificiale si accompagna spesso a una percezione distorta della realtà e a una debole capacità di distinguere il vero dal falso. I ragazzi cercano attenzione e visibilità, ma non sono preparati ad affrontarne le conseguenze: l’ansia da prestazione digitale, la pressione sociale, i comportamenti a rischio.
Lo studio conferma che “solo il 22% riesce a stare lontano dagli strumenti digitali senza provare ansia” e che “il 48% è caduto almeno occasionalmente vittima di fake news”. Questo significa che l’alfabetizzazione digitale non può più essere rimandata. È fondamentale integrare nei programmi scolastici percorsi di educazione critica ai media, alla tecnologia e alla gestione dell’identità online.
Occorre una collaborazione concreta tra scuola, famiglia e istituzioni per costruire una rete di protezione culturale ed educativa. Servono spazi di ascolto, formazione continua per gli adulti di riferimento e strumenti chiari per i ragazzi. È necessario promuovere la cultura del pensiero critico, insegnare a distinguere contenuti autentici da manipolazioni, e fare della tecnologia un mezzo per accrescere competenze e relazioni, non una fonte di isolamento o dipendenza.
Il ruolo delle famiglie è altrettanto centrale: “il 45% dei genitori impone regole sull’uso dei dispositivi, ma questa supervisione diminuisce con l’età dei figli”. Serve più dialogo e maggiore partecipazione, evitando tanto il divieto rigido quanto il permissivismo assoluto. Come mostra l’articolo, “il 56% indica come strumenti di protezione più efficaci il dialogo con adulti di fiducia e regole condivise”.
La rivoluzione digitale è un processo inarrestabile, ma non per questo deve travolgere le giovani generazioni. Servono consapevolezza, formazione e impegno condiviso. Come ha affermato il direttore generale del Moige, Antonio Affinita, “in nome della popolarità spesso i minori abbassano la guardia, correndo rischi che possono compromettere sicurezza e privacy”. Guidare i ragazzi non significa solo proteggerli, ma dar loro gli strumenti per scegliere, capire e crescere nel mondo connesso di oggi e di domani.
