Siamo giovani e ci disconnettiamo: addio ai cellulari, la nuova tendenza gli Offline Club

In un epoca dominata dall’intelligenza artificiale arriva il dietro-front delle giovani generazioni che preferiscono staccarsi dallo schermo alla ricerca di relazioni sociali autentiche. E’ cambio di rotta ?
Siamo cresciuti con l’idea che le nuove generazioni fossero inevitabilmente condannate a vivere in simbiosi con lo smartphone. Che il futuro sarebbe stato sempre più connesso, istantaneo, virtuale. Ma cosa accade quando è proprio chi è nato con il digitale a sognare un mondo disconnesso?
Un numero crescente di giovani europei sta dicendo “basta” alla sovrastimolazione degli schermi e alla socialità mediata dalle app. Al loro posto, emergono spazi fisici e concreti dove lo smartphone è bandito e il tempo viene riscoperto nella sua forma più autentica. Questa tendenza non è un semplice passatempo nostalgico, ma un vero e proprio fenomeno sociologico: la nascita degli Offline Club racconta molto più di una moda, è il segnale di una reazione collettiva.
L’Espresso descrive gli Offline Club come “spazi di socializzazione dove è impedito l’uso di internet, con giochi da tavolo, librerie e aree dedicate alla conversazione” che stanno prendendo piede in tutta Europa. Nati nei Paesi Bassi, questi club si stanno rapidamente espandendo nelle principali città europee – da Amsterdam a Milano, da Berlino a Barcellona – e persino a Dubai.
L’obiettivo? Offrire ai giovani un luogo dove recuperare la qualità della presenza, lontano da notifiche, algoritmi e scroll infiniti.
Il richiamo a Ulisse, presente nell’articolo, è potente: “Ulisse conosceva bene l’effetto ammaliatore del canto delle sirene, per questo chiese ai suoi compagni di legarlo all’albero maestro. Allo stesso modo, oggi è proprio chi è cresciuto online a sognare un mondo senza internet”. Gli Offline Club diventano così il “nuovo albero maestro”, uno spazio simbolico dove legarsi per non cedere alla tentazione di un mondo digitale sempre acceso, sempre connesso, ma sempre più alienante.
Questa esigenza di disconnessione non nasce dal nulla. Secondo una ricerca del British Standards Institution, “circa la metà dei ragazzi e delle ragazze del Regno Unito avrebbe preferito essere giovane in un’era pre-digitale”. È un dato sorprendente se consideriamo che questa è la generazione cresciuta con lo smartphone in mano. Più che una nostalgia per un tempo che non hanno vissuto, si tratta della percezione di un sovraccarico: di stimoli, di immagini, di relazioni superficiali e frammentate.
La questione, tuttavia, non si limita al disagio diffuso. Ci sono anche segnali di vera e propria dipendenza. L’Espresso cita “il caso di un ragazzo arrivato al pronto soccorso con tutti i sintomi di una crisi d’astinenza, dopo che i genitori gli hanno tolto il telefono”, segnalato dal professor Gianluca Rosso sul Corriere della Sera. È un episodio estremo, certo, ma emblematico. Quando la perdita del proprio dispositivo provoca un collasso emotivo e fisico, siamo davanti a un campanello d’allarme che non può più essere ignorato.
Non è un caso che anche le istituzioni stiano iniziando a muoversi. Inoltre, adesso, sono gli stessi ragazzi a chiedere un cambio di rotta.
Sempre secondo i dati riportati da L’Espresso, “il 70% degli intervistati dal British Standards Institution ha dichiarato di provare un senso di malessere dopo aver trascorso del tempo sui social e il 50% si è detto favorevole all’introduzione di un ‘coprifuoco digitale’ imposto su app e piattaforme dopo le 22”. Questo tipo di consapevolezza, che viene dal basso, è forse il segnale più incoraggiante. I giovani non sono passivamente schiavi della tecnologia: ne riconoscono i rischi, e cercano alternative.
Gli Offline Club rappresentano una di queste alternative. Non sono semplici spazi ludici, ma piccole comunità resistenti che offrono modelli di socialità più lenti, più veri, più profondi. L’iniziativa ha anche un’anima partecipativa: “chiunque può avviare un club nella propria città: è sufficiente registrare legalmente l’attività e completare il percorso di formazione offerto dall’organizzazione”. È un processo di democratizzazione della disconnessione: non occorrono tecnologie sofisticate, ma la volontà di riconquistare la propria dimensione umana.
Ciò che colpisce è che in mezzo a un’epoca dominata da intelligenza artificiale, iperconnessione e metaversi, la vera innovazione sociale arriva dalla semplicità. Parole, libri, giochi in scatola. Sembra paradossale, ma è proprio il ritorno all’analogico a offrirci una via d’uscita dall’alienazione digitale. I giovani non stanno rifiutando la tecnologia in sé, ma il suo uso eccessivo, invasivo, totalizzante. Cercano equilibrio, e stanno costruendo da soli gli spazi dove esercitarlo.
La generazione Z è spesso descritta come ansiosa, fragile, confusa. Ma tanti giovani dimostrano il loro coraggio. La forza di dire “no” a un sistema che li vuole sempre online, sempre performanti, sempre connessi. La determinazione di costruire un futuro in cui la tecnologia accompagni la vita, senza dettarne il ritmo.
Gli Offline Club non sono una fuga, ma una scelta consapevole: una forma di autodifesa culturale, una riappropriazione della propria libertà interiore.
Il fenomeno degli Offline Club non va ridotto a una tendenza passeggera. È una risposta autentica a un’esigenza profonda. È un terreno fertile dove sta nascendo una nuova etica delle relazioni. È un segnale significativo: non tutti i giovani vogliono vivere con il volto illuminato da uno schermo. Alcuni, sempre di più, scelgono la luce fioca di una lampada, il rumore dei dadi che rotolano sul tavolo, la voce di chi ti guarda negli occhi mentre parla. In un momento storico in cui tutto è connesso, disconnettersi è diventato un atto rivoluzionario.