Robot in cameretta: la nuova infanzia digitale

Sta nascendo una nuova generazione di compagni di giochi fatta di chip e algoritmi. L’intelligenza artificiale introduce una nuova pedagogia del controllo e dell’interazione. Fino a che punto questa esperienza rimane “infantile” ? La sfida sarà lasciare unire l’incanto dell’infanzia all’intelligenza delle macchine.
L’intelligenza artificiale, dopo aver conquistato il lavoro, la sanità, la scuola e l’intrattenimento, entra ora nelle camerette dei più piccoli. È il segno tangibile di una rivoluzione culturale che non riguarda solo il mercato, ma soprattutto la relazione tra tecnologia e infanzia, tra apprendimento e affettività.
Mi ha incuriosito e fatto riflettere l’articolo di Tgcom24 intitolato ‘L’intelligenza artificiale conquista i giocattoli: il mercato degli AI Toys vale già 2,2 miliardi’, che racconta la crescita del settore e le sue sfide etiche.
Secondo quanto riportato da Tgcom24, “il mercato dei giocattoli intelligenti ha chiuso il 2024 con 2,2 miliardi di dollari”, e “le previsioni parlano di una crescita del 14% annuo fino al 2034”. Un aumento che stride con il calo dei giochi tradizionali, in flessione dello 0,6% nello stesso periodo.
Non siamo dunque di fronte a una semplice moda, ma a una trasformazione profonda del modo in cui i bambini interagiscono con il mondo. Peluche che parlano, robot che imparano, pupazzi che riconoscono emozioni: la frontiera dell’intelligenza artificiale applicata al gioco si muove tra fascinazione e inquietudine.
Tgcom24 racconta, ad esempio, la storia di Grok, “un peluche sviluppato dalla start-up californiana Curio, che integra l’intelligenza artificiale di OpenAI per dialogare con i bambini”. L’obiettivo dichiarato è “ridurre la dipendenza dagli schermi”, offrendo un compagno fisico e interattivo. Ma il sogno si incrina quando emergono i dubbi sulla sicurezza: “alcuni acquirenti hanno rimosso la parte interna contenente chip, cassa e microfono”.
Il gioco, che da sempre rappresenta lo spazio dell’immaginazione libera, rischia così di trasformarsi in un’interazione mediata, registrata, analizzata. L’infanzia, il territorio più fragile e delicato, diventa banco di prova di tecnologie che promettono compagnia, ma introducono sorveglianza.
Non tutti i giocattoli intelligenti nascono con ambizioni affettive. Alcuni, come il robot WowWee MiP, citato nell’articolo, “si bilancia da solo su due ruote e risponde ai movimenti della mano grazie alla tecnologia Gesture Sense”. Le versioni più recenti permettono di “programmargli sequenze di movimenti”, convertendo il gioco in un’esperienza educativa.
È qui che il discorso sociologico si fa più complesso: la dimensione ludico-didattica del giocattolo AI introduce una nuova pedagogia del controllo e dell’interazione. Il bambino non gioca più solo per immaginare, ma per “istruire” il suo compagno artificiale. Il momento ludico diventa dialogo con una macchina che apprende, replica e restituisce stimoli calibrati.
Ma fino a che punto questa esperienza rimane autenticamente “infantile”? Quando l’intelligenza artificiale impara dal bambino, chi educa davvero chi?
Ancora più inquietante è la descrizione dell’Ebo Air S2, un robot cinese che, come scrive Tgcom24, “può conversare con Alexa e ChatGPT” e “segue l’utente per casa, proprio come un vero compagno domestico”. Ma a preoccupare è la “telecamera frontale”, che apre interrogativi su chi possa vedere e analizzare ciò che accade tra le mura domestiche.
La tecnologia, che nasce per favorire la connessione, rischia di dissolvere il confine tra pubblico e privato, tra svago e monitoraggio. Le famiglie si trovano di fronte a una scelta difficile: fidarsi di un sistema che promette di educare, ma che potenzialmente osserva, archivia e interpreta.
Gli analisti citati da Tgcom24 lo affermano chiaramente: “Molte persone non comprendono ancora i vantaggi dei giocattoli intelligenti”, e la diffidenza è legata “al timore di violazioni dei dati e della privacy”. Ogni interazione con un robot giocattolo lascia tracce digitali, che – se mal gestite – possono essere utilizzate per fini commerciali o di profilazione.
Siamo di fronte a un paradosso: il giocattolo, simbolo per eccellenza dell’innocenza, diventa un dispositivo di raccolta informazioni. L’intimità del gioco si intreccia con la logica dell’algoritmo.
Il quadro delineato da Tgcom24 mostra un’Italia in difficoltà: “Il mercato del giocattolo ha chiuso il 2024 con una contrazione del 3,4% a valore”, complice “la denatalità e la competizione delle nuove forme di intrattenimento”. Eppure, tra manga, collezionismo e fenomeno “kidult”, il desiderio di giocare non scompare. Si trasforma.
Nel nostro Paese, la diffusione dei giochi dotati di intelligenza artificiale sarà più graduale, ma forse anche più consapevole. La cultura ludica italiana – legata alla manualità, alla narrazione e al valore relazionale – potrebbe rappresentare un baluardo contro la completa digitalizzazione dell’immaginario infantile.
La domanda che si impone non è se i giocattoli AI siano “buoni” o “cattivi”, ma quale idea di infanzia stiamo costruendo.
Nella società ipertecnologica, il bambino diventa al tempo stesso utente e produttore di dati, protagonista di un gioco che non finisce mai, perché alimenta continuamente un sistema di apprendimento automatico.
Il rischio è che l’infanzia perda la capacità di creare liberamente i propri mondi e significati, lasciando che sia la tecnologia a guidare la fantasia. Tuttavia, esiste anche una possibilità positiva: quella di una tecnologia capace di sostenere l’apprendimento e l’inclusione, se progettata con morale e sensibilità educativa.
La speranza è che l’intelligenza artificiale non rubi l’immaginazione, ma la amplifichi. Che i peluche parlanti e i robot programmabili diventino strumenti per esplorare il mondo, non per sostituirlo.
Servono regole, trasparenza e una nuova alleanza educativa tra famiglie, istituzioni e industrie. L’innovazione, senza un’etica dell’infanzia, rischia di costruire un futuro in cui i bambini non giochino più, ma interagiscano soltanto.
La sfida contemporanea non è scegliere tra tradizione e progresso, ma riconciliare l’incanto dell’infanzia con l’intelligenza delle macchine.
