Emily Pellegrini la corteggiatissima influencer che “non esiste” nata dall’intelligenza artificiale
Una donna stupenda che ha ottenuto un grandissimo successo e ha fatto perdere la testa a diversi campioni del mondo dello sport. Calciatori famosissimi l’hanno contattata per corteggiarla e per conoscerla nella vita reale. Il profilo conta oltre 130mila follower. Molte aziende l’hanno individuata come testimonial per i propri prodotti.
Da quando è iniziata la rivoluzione tecnologica è stato un susseguirsi di nuove definizioni per cercare di inquadrare individui e comportamenti.
Abbiamo iniziato con gli immigrati digitali per confrontarli con i digitali nativi da questo incontro/scontro è nata la famiglia digitale e poi i Mobile Born che hanno dato vita alla Generazione APP. La Generazione App possiede un nuovo modo di concepire la propria identità che diventa pubblica perché creata per la vita virtuale.
Tutti gestiamo il nostro profilo sulle piattaforme virtuali come un processo sociale, perché vogliamo essere seguiti e amati dai nostri follower. Sempre più spesso le nostre emozioni nascono sulla tastiera dello smartphone e le relazioni nascono dietro ad uno schermo.
Ma non è tutto. Adesso, bisogna fare i conti con l’intelligenza artificiale che potrebbe riservarci sorprese inaspettate. Infatti, in questi ultimi giorni, i media hanno riportato una notizia quasi incredibile. Il giornalista Michele Mazzeo ha scritto un articolo, pubblicato su Fanpage.it, in cui spiega quanto è avvenuto.
È arrivata su Instagram una bellissima influencer. Una donna stupenda che ha ottenuto un grandissimo successo e ha fatto perdere la testa a diversi campioni del mondo dello sport. Calciatori famosissimi l’hanno contattata per corteggiarla e per conoscerla nella vita reale. Il profilo Instagram di Emily conta oltre 130mila follower. Molte aziende l’hanno individuata come testimonial per i propri prodotti.
Purtroppo, Emily non esiste ed è nata grazie all’intelligenza artificiale. La sua anonima creatrice ha spiegato al Daily Mail le sue intenzioni: “Ho chiesto a Chat GPT quale fosse la ragazza dei sogni dell’uomo medio e mi ha risposto: con capelli castani lunghi e gambe lunghe, quindi gli ho detto di crearla esattamente in quel modo. L’obiettivo era renderla simpatica e attraente. Volevo mantenerla il più reale possibile”. E ha aggiunto: “Tramite la direct di Instagram ci sono personaggi davvero famosi, come calciatori, miliardari, combattenti di MMA e tennisti che la contattano. Pensano che sia reale. La invitano a Dubai per incontrarsi e mangiare nei migliori ristoranti”.
In effetti, Emily è perfetta e un calciatore tedesco le ha chiesto su Direct Message di Instagram: “Com’è possibile che una donna così bella non abbia un ragazzo?” e lei gli ha risposto: “Non so hi hi hi”.
È possibile trovare Emily su Instagram e su Fanvue, piattaforma che ha le caratteristiche di Onlyfans. Il portale notizie.virgilio.it ricorda che su Fanvue le sottoscrizioni costano 9 dollari
al mese. Questo permette alla creatrice di Emily di guadagnare 10mila dollari in sole 6 settimane.
L’intelligenza artificiale ci aveva già stupiti con i suoi enormi risultati. Si, perché un’importante ricerca, guidata e seguita dall’Australian National University, divulgata su Psychological Science, una rivista dell’Association for Psychological Science, ha mostrato quanto sia complesso distinguere un viso vero da uno falso.
La giornalista Maria Letizia D’Agata ha scritto un articolo, pubblicato sul portale agi.it – Agenzia Italia, in cui illustra i risultati dell’analisi condotta. Le percentuali indicano che chi ha partecipato allo studio ha riconosciuto come umani i volti della carnagione bianca originati dall’intelligenza artificiale, rispetto ai volti di persone reali. Il dato non è stato osservato con le immagini di persone di colore.
Amy Dawel, autrice senior del lavoro, ha affermato: “La ragione di questa discrepanza è che gli algoritmi di intelligenza artificiale vengono addestrati per lo più sui volti dalla carnagione bianca. Questa tecnologia potrebbe avere serie implicazioni per le persone di colore, rafforzando in ultima analisi i pregiudizi razziali online”.
L’agenzia ANSA ha reso noto che: “Su 124 partecipanti, il 66% ha identificato le immagini di intelligenza artificiale come umane, rispetto al 51% delle immagini reali”. Mentre per quanto riguarda le persone di colore “sono stati giudicati umani circa il 51% delle volte”.
Elizabeth Miller, coautrice dello studio e dottoranda presso l’ANU, ha detto: “È preoccupante notare che le persone che pensavano che i volti dell’intelligenza artificiale fossero reali il più delle volte erano anche le più sicure della correttezza dei loro giudizi. Ciò significa che le persone che scambiano gli impostori creati dall’intelligenza artificiale per persone reali non sanno di essere ingannate”.
I ricercatori sono preoccupati soprattutto per l’aumento della disinformazione e per la possibilità che avvengano furti di identità. Proprio per questo motivo, si augurano che ci sia maggiore trasparenza e che l’opinione pubblica venga sensibilizzata. “Dato che gli esseri umani non sono più in grado di riconoscere i volti dell’intelligenza artificiale, la società ha bisogno di strumenti in grado di identificare con precisione le simulazioni dell’intelligenza artificiale” ha asserito Dawel.
Chiara Panciroli e Pier Cesare Rivoltella nel volume “Pedagogia algoritmica – Per una riflessione sull’intelligenza artificiale” hanno dato risalto all’importanza di educare l’intelligenza artificiale e di educare all’intelligenza artificiale. “In una società e in una cultura elevatissima come la nostra, senza il supporto degli algoritmi , già oggi, ma sempre in futuro, sarebbe impossibile sopravvivere”.
Di fatto, abbiamo la necessità di sviluppare un pensiero critico, di acquisire nuove conoscenze, competenze e consapevolezze e di saper controllare il nostro “sentiment” del momento.
Dobbiamo dare un nuovo volto alla Media Education per riuscire a seguire il progresso scientifico e tecnologico. Giovani e meno giovani devono maturare l’idea che è
fondamentale assumere un corretto atteggiamento di cittadinanza digitale per bilanciare, come sostiene la sociologa Shoshana Zuboff, l’asimmetria di potere acquisita dagli algoritmi.