Arriva il “Tripadvisor del cuore” per recensire amanti tossici. Ma è questo che giova all’amore?

Tea è l’applicazone che recensisce uomini e donne con l’illusione della relazione sicura. Rimane il dubbio che tecnologia al vaglio digitale ci liberi dal rischio di amare in balia, come siamo, di una vera alfabetizzazone sentimentale
Nel mondo delle relazioni 4.0, dove le connessioni nascono tra swipe e chat, anche l’amore sembra dover passare al vaglio dell’algoritmo.
In un contesto digitale che promette di proteggerci dai cuori infranti e dagli errori sentimentali, nasce negli Stati Uniti Tea Dating Advice, l’app pensata per recensire gli uomini e difendere le donne da esperienze potenzialmente tossiche.
Attualmente disponibile solo sul mercato statunitense, l’app ha comunque suscitato un forte eco mediatico anche in Italia, sollevando riflessioni e dibattiti sul tema della sicurezza sentimentale e della sorveglianza digitale. Considerato l’interesse internazionale, non è escluso che in futuro possa essere lanciata anche in altri Paesi. Ma quando la tutela emotiva si trasforma in esposizione, cosa resta dell’idea di amore sicuro?
Dalla promessa di diventare una sorta di “TripAdvisor del cuore” al crollo della fiducia dovuto a violazioni di dati personali, Tea rappresenta un perfetto caso di studio sulla fragilità dei legami digitali e sui paradossi della tecnologia applicata all’intimità. L’intento era nobile: permettere alle donne di condividere esperienze, di “mettere in guardia” le altre da uomini problematici, e creare una comunità solidale. Ma la pratica ha mostrato quanto possa essere sottile la linea tra tutela e invasione.
Nel suo articolo per Il Foglio, Ester Viola descrive Tea come “una specie di TripAdvisor sentimentale, che al momento è altissima tra i download delle applicazioni”. L’idea di fondo è quella di prevenire la delusione sentimentale attraverso l’analisi preventiva del passato altrui: “La regola è sempre quella del precedente confermativo: lo fanno a quella prima di te? Lo faranno a te. Fuggi”.
Un’app solo per donne, dove le recensioni degli uomini si trasformano in una sorta di libretto di circolazione relazionale, uno storico delle “indegnità” commesse. “Proteggersi contro di lui, la carogna irredimibile, il recidivo anaffettivo”, scrive Viola con ironia, “ora nominato genericamente narcisista forse in un eccesso di diagnosi Instagram”.
Tuttavia, l’autrice evidenzia anche i limiti strutturali del progetto: “Le recensioni su Tea sono tutte nel passato, e l’amore è sempre un evento presente e fragile, parecchio infondato nelle previsioni”. La realtà delle relazioni, infatti, sfugge a ogni algoritmo: “Le relazioni sono il frutto di una mescolanza irreplicabile”. Come dire: l’amore non è un’equazione, e gli esseri umani non sono dati da incrociare.
E se la premessa teorica si scontra con la complessità dell’animo umano, la pratica digitale ha mostrato un ulteriore lato oscuro. Come racconta Chiara Crescenzi nel suo articolo pubblicato su Wired.it, Tea è stata vittima di due gravi violazioni di dati, con conseguenze devastanti per le sue utenti.
Nel primo data breach, “sono trapelate circa 72.000 immagini, tra cui circa 13.000 selfie e foto identificative inviate durante la verifica dell’account”.
Nel secondo, ancora più grave, sono stati esposti 1,1 milioni di messaggi privati, contenenti numeri di telefono, accuse personali e persino discorsi legati ad aborti. Messaggi che dovevano restare riservati e che invece sono diventati vulnerabili, esposti a estranei e potenziali malintenzionati.
Una fuga di dati che contraddice radicalmente lo scopo dell’app, nata per garantire la sicurezza delle donne. Al punto che alcuni hacker hanno trasformato i selfie rubati in un sito “in stile Facemash”, dove votare l’attrattività delle utenti, riducendo la dignità delle persone a un crudele gioco di preferenze.
Quello che emerge da questa doppia narrazione – tra le promesse idealistiche e il crollo della fiducia – è il fallimento del tentativo di rendere prevedibile l’imprevedibile. Le piattaforme digitali promettono controllo, ma spesso offrono solo l’illusione del controllo. Il desiderio di certezza sentimentale, comprensibile e legittimo, si scontra con la realtà di un mondo digitale dove la vulnerabilità non può mai essere completamente eliminata.
Nel tentativo di evitare l’ambiguità delle connessioni reali, Tea ha cercato di costruire una mappa dell’affidabilità affettiva. Ma il risultato è stato quello di trasformare l’amore in un processo di monitoraggio continuo e l’intimità in merce. Il paradosso è che nel momento stesso in cui si tenta di gestire i sentimenti con la logica dei dati, si tradisce la loro essenza: il dubbio, il rischio, la libertà.
E come ricordava Cesare Pavese, citato da Viola: “L’amore non chiede che di diventare abitudine, vita in comune, una carne sola di due, e, appena è tale, è morto. […] L’amore è vita e la vita non vuole ragionamenti”. Né algoritmi, si potrebbe aggiungere oggi.
Il caso Tea ci obbliga a riflettere su come stiamo costruendo i legami nell’epoca della relazione mediatizzata, dove tutto passa dai social network e ogni gesto è potenzialmente registrabile. Ci mostra i pericoli di affidare la nostra sfera privata a spazi digitali che promettono garanzie ma restano permeabili, fallibili e spesso spietati.
Forse, più che nuove app per giudicare gli altri, serve una nuova alfabetizzazione sentimentale, capace di coniugare desiderio di protezione e rispetto per la complessità. Perché nessuna tecnologia potrà mai liberarci dal rischio di amare. E nemmeno, come direbbe Pavese, dal rischio di diventare pazzi per averci provato.